Si può registrare una telefonata? La registrazione delle telefonate è un tema dibattuto che spesso suscita domande sulla legalità, la privacy e i diritti individuali. In questo articolo approfondiremo gli aspetti legali e i vari scenari.
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Molte persone considerano la registrazione delle chiamate come un mezzo per garantire la propria sicurezza e documentare conversazioni importanti. È fondamentale comprendere i limiti e i requisiti legali che circondano questa pratica.
È fondamentale sottolineare che la captazione di conversazione privata a distanza è riservata alle autorità di Polizia Giudiziaria su espressa autorizzazione del Pubblico Ministero e del Giudice. Di contro La registrazione tra persone presenti è possibile.
Si può registrare una chiamata? Quando è possibile?
Quando ci chiediamo “è possibile registrare una chiamata?” bisogna specificare che la persona che intende registrare una conversazione, deve essere presente alla chiamata. Non si può invece registrare una telefonata tra due persone all’oscuro di essere ascoltate.
Il parere della Corte di Cassazione
Anche la Corte di Cassazione si è espressa in merito, con la Sentenza n. 18908 del 13 Maggio 2011, la Suprema Corte afferma che “chi dialoga accetta il rischio che la conversazione venga registrata” esponendosi di fatto al rischio di essere registrato, pertanto non serve un’accettazione espressa. Non si concretizza una violazione della Privacy in quanto il contenuto della conversazione è già noto agli interlocutori, quindi la registrazione della stessa equivale a prendere appunti per evitare di dimenticarsi qualcosa.
Cosa succede se le conversazioni vengono divulgate?
Non è permessa la divulgazione delle conversazioni registrate senza il consenso degli interessati. In questo casi si integrerebbe la fattispecie dell’Art. 615 bis del codice penale.
In tal caso si violerebbe l’art. 615 bis del codice penale, che afferma quanto segue:
“Chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo.
I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato“
Tale divieto trova eccezione solo nel caso in cui, le conversazioni registrate, debbano essere fatte ascoltare al Giudice competente per esercitare il proprio diritto di difesa.
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Si può registrare una conversazione? Quando non è possibile:
Ai sensi dell’articolo 615 bis del codice penale si configura il reato di interferenze illecite nella vita privata qualora, mediante l’uso di strumenti di ripresa video e/o audio, vengano acquisite indebitamente notizie e immagini relative la vita privata di una persona.
Infatti non è possibile registrare conversazioni presso la casa altrui (o in luoghi equiparabili), l’auto, l’ufficio, ecc. Non è infatti consentita la registrazione di una telefonata tra due persone e un soggetto terzo, autorizzato solo da uno dei due presenti ad assistere alla conversazione.
Il parere della Corte di Cassazione
La Suprema Corte si è espressa in merito stabilendo che è fatto divieto nascondere dispositivi atti alla registrazione (al fine di ascoltare conversazioni intercorrenti tra la compagna dello stesso e alcuni ospiti) anche se la casa è di sua proprietà. Infatti “la disponibilità del luogo anche da parte dell’autore dell’indebita interferenza non incide sulla sussistenza del reato, che mira a tutelare la riservatezza domiciliare della persona offesa” (Cass. n. 27847/15).